Paolo: missionario in un mondo in fuga!

Dio fa sorgere i suoi santi proprio quando si affievolisce la speranza nel cuore dell’uomo. Dio torna ad accendere barlumi di santità proprio quando il mondo sprofonda nelle tenebre e disorientato cerca un approdo ove ancorare la zattera sconquassata della propria vita. In nostro oggi non è come l’epoca di Paolo della Croce in cui si predicava poco. Ai tempi nostri – per fortuna – tutti predicano. La gente di fine ‘700 come quella del 2014 ancora, però, riesce a riscontrare se quelle parola si trasformano in vita vissuta.

Per Paolo predicare era comunicare l’Evangelo in qualsiasi modo avvenisse. Egli predicava nelle chiese, nelle strade, aggrappato al suo crocefisso, con la gente nelle piazze del mercato e avendo nel cuore una certa passione per l’annuncio usava tutti i mezzi per comunicare questa ”buona notizia”. Paolo lo sapeva benissimo: la predicazione non passa solo attraverso le parole, essa passava – possiamo dire con più effetto – nella sua compassione; era un uomo profondamente e incessantemente preoccupato delle sofferenze (seppur di vario genere) delle persone. Paolo predicava quel Dio che si è fatto carne, del resto poteva farlo perchè aveva ben compreso – facendo posto nella sua vita all’Assoluto – che non si può parlare di un Dio che si fa uomo se non si è veramente umani nella nostra vita. Per questo fu credibile, e lo è ancora oggi. Per questo il suo parlare convertiva tanti, o almeno poneva nel cuore di coloro che l’ascoltavano la questione se quella ”vita” fosse vita. Paolo – pian piano – scoprì che Dio lo chiamava ad uscire da se stesso per andare verso Lui. Per questo arrivò a dire: Dio è il centro del mondo e di conseguenza del mio mondo!
(Andrea Maniglia)

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