La Misericordia in San Paolo della Croce – Amorevole verso chi cade in errore

Continuando le nostre riflessioni su “La misericordia in san Paolo della Croce”, cercherò di far emergere, d’ora in poi, quelle note tipiche del suo agire che ci mostrino come lui abbia vissuto quelle “opere di misericordia” che Papa Francesco tanto ha raccomandato di riscoprire ed attuare a partire da quest’Anno Giubilare.

Ci fermeremo, questa volta, su quell’opera di misericordia spirituale che invita ad “ammonire chi cade in errore” : non si tratta di accusare nessuno, sentendosi magari perfetti e superiori, ma di esercitare la “carità” della correzione fraterna verso chi “ha smarrito la strada” e non si vuole che si perda.

Ed in questo, Paolo della Croce, è un vero Maestro ed un amorevole Padre.

Come Padre e Fondatore, Paolo esprime nei suoi gesti e nelle sue parole quei genuini tratti di umanità e fermezza che dovrebbero segnare l’agire di chi è chiamato, nella comunità, ad esercitare il “servizio dell’autorità”.

“Univa un misto di rigore e dolcezza impossibile a ben spiegarsi, facendo uso ora più di uno ora più dell’altra, secondo il bisogno del fratello”. Così P. Giacinto testimonia nei Processi.

E p. Valentino conferma : “Andava osservando le disposizioni dei religiosi quando doveva comandarli o avvisarli o correggerli, servendosi di maniere forti e soavi, secondo giudicava opportuno”.

Sentendosi responsabile della nascente Congregazione, ne segue i primi passi con prudenza e vigilanza. “Vigili sopra tutto e sopra tutti” – raccomanda al P. G.Battista di s. Ignazio – “abbia buon concetto di tutti, ma sia tutt’occhi per osservare gli andamenti di tutti e di ciascuno in particolare”.

Nel dare ordini o facendo quei giusti rilievi che ritiene opportuno, Paolo desidera che i religiosi si uniformino al suo esempio e facciano tesoro delle sue esperienze… “Adesso – confida al P. Tommaso Struzzieriin merito al comportamento di un religioso – voglio dirle come mi son sempre regolato io…”

Chi più di lui avrebbe potuto sentire come proprio il destino di quei primi “compagni” che vivevano per il suo ideale e si affidavano al suo governo?

E’ meraviglioso questo stile di Paolo, di partire da se stesso, dal suo esempio, offrendo la sua esperienza. E’ come dire a chi “sta sbagliando” : vedi, ti parlo per quello che anch’io vivo nella mia lotta contro il male : ho la sensazione che questa strada non ti faccia bene, che ti allontani dalla tua verità. Non mi sento bene se continui così, io soffro nel vederti su questa strada…”

Ecco, è proprio in questo clima che può e deve nascere la vera “correzione fraterna” : non come occasione di ritorsioni o condanne sommarie, non come tribunale di accusa da parte di ipocriti che si ritengono sempre giusti, come i farisei del vangelo!

Se si vive in comunità la correzione fraterna come esercizio di carità, si evita il pericolo di sparlare degli altri, suscitando dicerie e mormorazioni. Si sa quanto sia difficile questo!

E’ più facile magari chiedere al superiore che una certa persona cambi il proprio comportamento. O anche davanti al superiore ci indigniamo contro il fratello o la sorella, ma non abbiamo il coraggio di rivolgerci direttamente a costui o costei. Non è facile trovare il tono giusto.

Paolo della Croce mette in gioco se stesso ammonendo i fratelli, ben sapendo che solo l’esempio trascina, non le belle parole o, peggio, i facili rimproveri. Infonde coraggio nell’andare incontro all’altro, pur esigendo da ciascuno tutto il possibile nell’osservanza della Regola, nel rispetto della disciplina, tenendo fermo lo spirito dell’Istituto.

La sua vigilanza di buon Padre e le sue continue esortazioni non mirano ad altro se non al bene delle persone, guardando all’oggettiva vocazione spirituale di ognuno. Per questo, in qualche caso, si contenta dell’essenziale, quando si rende conto che non è possibile ottenere di più da qualche religioso e che sarebbe ingenuo e pericoloso esigere il massimo ad ogni costo.

A proposito di un certo P. Giuseppe, un po’ “problematico”, così scrive al P. Fulgenzio : “(…) occorre contentarsi che osservi le sante Regole saltemnell’essenziale; e quando si vede difettare, mirarlo con comprensione e correggerlo con sopraffina carità, con dargli anche gli opportuni medicamenti, tanto in capitolo nelle colpe, come altrove, ecc…Se riesce di cooperare di condurlo al cielo, che gran guadagno! Che gran gloria di Dio!”.

E le speranze di Paolo non erano campate in aria, perché neppure un mese prima aveva ricevuto dal suddetto P. Giuseppe una lettera in cui manifestava tutta la sua buona volontà di correggersi. “Si umilia molto – scrive Paolo a P. Fulgenzio – e creda che mi mette compassione, e se dice davvero, mostra volersi emendare. Ah! Il Divin Pastore cerca e ricerca la povera pecorella. Cerchiamo consolarla con medicarla, affinchè guarisca e non si separi dal suo ovile in questa Congregazione; se poi, non si potrà fare altrimenti, pazienza! Sibiimputet!”.

Sembra sentir riecheggiare il brano di Matteo 18,15-18 sulla correzione fraterna : un sentirsi coinvolti in prima persona nel custodire il fratello anche ammonendolo con carità, per “guadagnare” il fratello, come dice Gesù. Che non significa tirarlo dalla propria parte! Guadagnare vuol dire piuttosto guadagnare l’altro alla vita, “al cielo”, direbbe san Paolo, lui che come Padre amorevole altro non desiderava se non che si aprissero gli occhi a chi cadeva in errore, riuscendo a guardare la propria vita in modo nuovo ed a percorrere il proprio cammino rinvigorito e fiducioso.

P. Carlo Scarongella