La Misericordia in San Paolo della Croce – Premuroso verso gli ammalati

Sull’attenzione premurosa di san Paolo della croce verso gli ammalati, nel corpo e nello spirito, si potrebbero scrivere fiumi di pagine, tutte segnate da quella “compassione” quasi istintiva che sempre caratterizzava i suoi rapporti con i sofferenti di ogni categoria sociale.

L’esperienza vissuta con il fratello P. Giovanni Battista all’ospedale san Gallicano a Roma lo vede tutto proteso nel servizio agli “infermi tignosi”, in quella “vigna preziosa, o per dir meglio, in quella fornace di carità” dell’ospedale romano, come lui stesso la definisce scrivendo a don Tuccinardi. Sarà la scelta di “poterci ritirare in solitudine” che spingerà Paolo a non continuare l’esperienza tra i malati a san Gallicano, per cui chiederà di essere esonerato da quel servizio, non riconoscendo in esso il “carisma” al quale il Signore lo chiamava.

Ma Paolo parte da san Gallicano ancora più aperto verso le tante sofferenze umane, deciso ad orientare il cammino della nascente Congregazione verso quella “grata Memoria della Passione di Gesù”, che fa toccare “la carne viva del Crocifisso” nei “crocifissi” di ogni tempo.

In Missione la sua carità “si diffondeva in particolare verso gl’infermi ed i carcerati”; e quando non poteva visitarli personalmente – ricorda don Nicola Costantini nei Processi – mandava i suoi religiosi; così come avrebbe specificato nelle Regole, raccomandando loro le stesse opere di misericordia da compiersi ogni volta che per incombenze fossero usciti dal ritiro, restando loro proibito di far visite di “puro complimento” (Regola del 1746, cap. 25).

“I miei cari poverelli”chiamava le persone povere ed abbandonate, soprattutto se inferme; un’espressione dall’accento tenerissimo! Nel breve periodo vissuto all’ospizio del Crocifisso a Roma, le “prime mire” dei religiosi dovevano essere per loro; “ed a quest’effetto li mandava continuamente all’ospedale vicino di san Giovanni in Laterano” (Fr. Francesco nei Processi).

Anche lui ci sarebbe andato, ma nel ’69, quando si stabilì a Roma, era già vecchio e non avrebbe potuto udire le confessioni dei malati. E questo gli dispiaceva :“Se non fossi sordo – ripeteva con enfasi – vorrei andare all’ospedale di san Giovanni dalla mattina fino all’ora di mezzogiorno, e vi tornerei il dopopranzo fino alla sera per ascoltare le confessioni di quei poveri infermi ed aiutarli in quel modo che mi fosse stato possibile. Al mio desiderio manca la forza! Oh che gran vigna l’ospedale! – lo sentì più volte esclamare fr. Bartolomeo – “gran bene si fa intorno agl’infermi. Siano benedetti!” E raccomandava ai suoi religiosi :“Vadino pure ad aiutare quei poverelli! Ah se non fossi sordo e così indisposto, oh! Quanto vi anderei volentieri! Ma Dio non vuole e sono contento!”

Ancora più intensa la premura del P. Paolo verso i suoi confratelli in comunità.

Per gli infermi era solito dire – depone il P. Bonaventura – che ci voleva o una madre o un santo”. E lo Strambi commenta che “il P. Paoloaveacor di madre, perché avea carità di santo

(Vita, II, c. XIII, p. 321).

In concreto, Paolo visitava spesso in comunità i malati, “li consolava, l’incoraggiava e procurava che non li fosse mancato nulla del necessario(…); ed era solito dire – come spesso io stesso l’ho inteso – che per i nostri religiosi infermi se non vi fosse stato altro modo per sovvenirli, si fossero venduti i calici e le suppellettili della chiesa” (P. G. Andrea nei Processi).

Interessante quanto racconta con molta franchezza il P. G.Giacinto a proposito di quanto accadde a lui stesso a s. Eutizio : “Andai soggetto ad una grave infermità. Riavutomi dal male violento, caddi in una specie di languore che faceva sospettare di mia salute, e ben temevasi che potessi cadere in una etisia, specialmente perché una febbre lenta, che mi cruciava, poteva dirsi pressochè continua. Mi si usava qualche assistenza, ma non tanta quanta esigeva il bisogno. La povertà, forse, del ritiro non permetteva di più. Ne giunse notizia al ven. P. Paolo, il quale dimorava nel ritiro di s. Angelo. Ne sentì rincrescimento e per quella carità che egli aveva per tutti, non fu contento di mandar ordini in scritto, ma volle di persona portarsi a s. Eutizio. Fece quivi un forte rimprovero al superiore per la poca carità ed assistenza che usavasi meco, il superiore fece le sue scuse, adducendo che la povertà e la strettezza del ritiro non permettevano far di vantaggio; ma il servo di Dio non mandò a lui buona una tal discolpa, e con zelo di carità soggiunse che in questi casi, se bisognava, doveva vendersi anche il calice d’argento, giacchè uno ve n’era in s. Eutizio di tal metallo…”.

Bastava sapesse che qualcuno stava male per andar subito a visitarlo, “benchèavesse dovuto salire molti scalini con grave suo incomodo”. E volentieri poi cedeva ad altri qualche medicina a lui prescritta, come una volta accadde per certe pasticche, che ordinò fossero date ad un fratello religioso molto raffreddato. “Portate le rotelle a quel povero fratello che ne ha più bisogno di me – disse a fr. Bartolomeo . Fra noi tutto è in comune!”

Se c’era un religioso febbricitante, “non trovava quiete per la pena che provava. Lo visitava più volte al giorno…” (è sempre fr. Bartolomeo che ne dà testimonianza); “ogni volta che vedeva me, domandava come stava l’infermo; voleva si stesse attentissimo agli ordini del medico, si provvedesse la carne e tutto il bisognevole; se il male era grave, non voleva si lasciasse l’infermo solo…”

Non badava a spese per le cure; “voleva veder tutto, saper tutto”; vigilava sulla pulizia delle camere, della biancheria. Ordinava l’uso del materasso e, se il male era serio, anche delle lenzuola.

Spesso si portava in cucina ed osservava se si preparassero con tutta carità i cibi necessari per gl’infermi…” Al ritiro della Presentazione un giorno chiese a fratel Giuseppino cosa avesse preparato per alcuni religiosi indisposti; ed avendo saputo che era stato dato loro del pancotto con l’olio, acceso allora di zelo e carità, disse al detto infermiere che non era questo il modo di alimentare i poveri infermi e che quando fosse mancato il comodo di comprare la carne, si fosse venduta una suppellettile sacra per supplire al bisogno” (Fr. Michelangelo nei Processi).

Si potrebbe continuare all’infinito nei racconti, ma ci fermiamo qui. Bastano questi “sprazzi di vita” così semplici e concreti per toccare con mano la costante attenzione di Paolo della croce verso i malati, lasciandoci contagiareanche noi da una così grande tenerezza di padre.

P.Carlo Scarongella